Ammissibilità ATP 696 bis c.p.c. in presenza di consulenza penale negativa

Giorgio de Luigi e Stefania Trivellato • apr 04, 2022

Sempre più spesso si deve replicare ad eccezioni di inammissibilità avverso riscorsi 696 bis c.p.c. proposti ex legge Gelli (la legge del 2017, rammentiamo, che “impone” a chiunque voglia formulare una domanda per malpractice medica di introdurre la domanda o con una domanda di mediazione ovvero, appunto, a mezzo di ricorso ex art. 696 bis c.p.c. a fine conciliativi). Ultimatamente come studio specializzato in responsabilità sanitaria abbiamo “resistito” ad una eccezione di inammissibilità basata su di una argomentazione che traeva origine da alcune recenti pronunce di Tribunali relativi all’asserita valenza della C.T. medico-legale disposta dal P.M. nel processo penale concluso con l’archiviazione e conseguente inutilità, quindi, di nuova indagine consulenziale in ATP ex art. 696 bis c.p.c..

L’inammissibilità del ricorso – secondo la controparte - si basava sull’assunto per cui “l’accertamento tecnico preventivo (…….) appare essere del tutto superfluo posto che la fattispecie è già stata indagata nell’ambito del procedimento penale. Accertamento che, seppur reso all’interno di un procedimento in cui le regole probatorie sono diverse, ben può avere rilevanza anche in questa sede, soprattutto in un caso, come quello che ci occupa, in cui viene categoricamente esclusa la responsabilità degli operatori e dei sanitariT”.

E’ come dire che dato che in sede penale la consulenza d’Ufficio medico-legale aveva escluso la colpa e la responsabilità penale, non era ammesso disporre e assumere la consulenza medico-legale in sede civile, bastando quella già effettuata.

La controparte faceva riferimento alla Sent. n° 229/2020 del Tribunale di Reggio Emilia. Orbene veniamo all’esame della pronuncia: la fattispecie trattata dal Tribunale si riferiva ad una sentenza pronunciata all’esito di un procedimento di merito in cui il Tribunale aveva compiuto le sue considerazioni e decisioni (comunque, lo rammentiamo, ipoteticamente censurabili e riformabili in grado appello) in ordine al principio del libero convincimento del giudicante e sull’ammissibilità delle cc.dd. prove atipiche, ma soprattutto tale pronuncia non aveva affatto “rigettato l’istanza di ammissione di consulenza tecnica, ritenendo esaustiva quella raccolta nel procedimento penale chiusosi con l’archiviazione”, bensì aveva sancito tutt’altro principio ovvero quello per cui una richiesta di rimessione in istruttoria e una istanza di nuova CTU non potrebbero essere accolte qualora vengano fatte valere per una asserita causa di decesso formulata più di due anni dopo l’inizio di una causa di merito e adducendo una causale completamente diversa e distinta da quella dedotta nell’atto introduttivo! 

Invero poi dalla sentenza  si evinceva che nel pregresso procedimento penale, conclusosi con  archiviazione nei confronti dei soggetti in allora imputati di omicidio colposo, il P.M. aveva disposto una Consulenza e in tale contesto si è innestato un vero e proprio contraddittorio con i consulenti delle parti civili. 

Il procuratore di controparte poi richiamava  una seconda pronuncia giudiziaria, ovvero l’Ordinanza del Tribunale di Trieste del 23 dicembre 2020, resa proprio all’interno di un procedimento ex art. 696 bis c.p.c.,  nel quale  il Giudice ha dichiarato inammissibile il ricorso affermando che ben può il giudice civile utilizzare le risultanze del procedimento penale, pur non essendone vincolato (al di fuori dei tassativi casi previsti dagli artt. 651 e 652 c.p.p.), tanto più considerando le peculiari garanzie proprie di tale ambito stabilendo, inoltre, che l’accertamento effettuato in sede panale può permettere di escludere la responsabilità anche in sede civilistica.

E’ stata nostra cura esprimere motivatamente il più fermo dissenso sulla fondatezza di questa teoria avuto specifico riguardo alla funzione attribuita al ricorso ex art. 696-bis C.P.C. siccome previsto dall’art. 8 della L. n° 24/2017 e cioè della legge Gelli sopra richiamata.

Infatti come già accennato è stabilito ex lege che l’azione civile per il risarcimento dei danni da responsabilità sanitaria debba essere preceduta dalla proposizione del ricorso ex art. 696-bis C.P.C. o, in alternativa, dalla procedura di mediazione ai sensi dell’art. 5, comma 1-bis del D.Lgs. n° 28/2010. Quindi l’impostazione sostenuta ex adverso pretende di fuorviare la funzione del procedimento di accertamento tecnico preventivo in questione. 

Una volta esercitata la scelta tra A.T.P. e mediazione i requisiti di “ammissibilità” della prima attengono innanzitutto alla forma ed al contenuto degli atti introduttivi sia con riguardo alle norme generali che a quelle speciali dettate per i procedimenti di istruzione preventiva quali, ad esempio, la necessità che il ricorso contenga l’esposizione (pur sommaria) dei fatti e l’individuazione della domanda nei cui confronti la C.T.U. abbia un ruolo strumentale. Gli Altri elementi da verificare da parte del Giudice sono la legitimatio ad causam o l’integralità del contraddittorio.

Per ciò che concerne più specificatamente la questione sull’ammissibilità del ricorso per A.T.P., si sono venute a creare, successivamente all’introduzione della norma in esame, varie tesi ovvero: 

-                la tesi della possibilità di utilizzare l’A.T.P. solamente se vi fosse contestazione del quantum;

-                quella che apre alla possibilità di utilizzare l’A.T.P. anche in presenza di contestazione sull’an, se non vi fosse stata assoluta mancanza di possibilità 

-                quella che riconosce al procedimento natura conciliativa, ma anche con effetti anticipativi dell’istruttoria.

Riteniamo preferibile e condivisibile  quest’ultima tesi in quanto è indubbio che l’art. 8 della L. n° 24/2017 sancisce espressamente la natura “conciliativa” dell’A.T.P., ma anche anticipatoria in tanto in quanto le risultanze potranno ben fare pieno ingresso nel successivo giudizio di merito sì che viene naturale e ovvia la considerazione per cui il Giudice potrebbe compiere ulteriori valutazioni al di là di quelle relative alla sussistenza delle condizioni per l’azione e dei presupposti processuali sì da ritenere che l’accertamento tecnico richiesto non sia inutile e anzi sia idoneo ad essere utilizzato nel successivo giudizio di merito.

Ed infatti, in considerazione di ciò, la relazione del Consulente tecnico potrà essere utilizzata nel successivo giudizio come prova, mentre nel caso in cui al Consulente riesca la conciliazione, l’istituto avrà permesso la definizione anticipata della lite senza dover introdurre il giudizio di merito.

In relazione a questo pare evidente che il vaglio del Giudice adìto possa anche apprezzare la qualità delle allegazioni ma, certamente, non può  spingersi ad esprimere giudizi “sommari” sull’eventuale ritenuta infondatezza della domanda o, al contrario, fondatezza delle contestazioni avverse senza con ciò elidere illegittimamente la funzione dello strumento predisposto dal Legislatore e con ciò le finalità apertamente deflattive, tanto perseguite dal legislatore e ancor più stimate dalla Giurisprudenza, specialmente nella S.C. di Cassazione. Invero tutte le questioni di questo tipo (al di fuori, quindi, dei presupposti formali di ammissibilità) troveranno giusta considerazione nell’eventuale successivo giudizio di merito nell’ipotesi in cui non si dovesse addivenire, precedentemente, alla conciliazione con il supporto dei Consulenti nominati dal Tribunale.

Pare assolutamente evidente che la citata decisione operata dal Tribunale di Trieste vada ben oltre il sindacato minimo di ammissibilità e si addentri su valutazioni di merito totalmente improprie oltre che errate, entrando “a gamba tesa” nel merito della questione e, d’un sol colpo, cancellando sia la funzionalità deflattiva che quella conciliativa di cui all’Art. 8 della L. n° 24/2017. Tale decisione è andata ben oltre alla possibilità da parte del Giudice di valutare che il ricorso richiesto fosse rilevante nonché utile ai fini dell’accoglimento della domanda di merito da introdurre successivamente, fermo che, ai fini della ammissibilità del procedimento di consulenza tecnica preventiva con finalità conciliativa, il Giudice possa comunque valutare la sussistenza di tali aspetti. Il Giudice può/deve compiere una delibazione positiva sulla ammissibilità, sulla rilevanza e sull’utilità dell’accertamento tecnico richiesto, in relazione alla successiva domanda di merito che ha intenzione di introdurre il ricorrente, sì da doverne sancire il rigettare qualora la consulenza tecnica preventiva appaia inammissibile o non rilevante o non utile con riguardo all’oggetto della domanda (risarcitoria) formulata dal danneggiato. Ma certamente non può spingersi, in questa fase, fino a dare giudizi né ad esprimere e  valutare le questioni di fatto e di diritto proprie del giudizio di merito (tra le quali, ad esempio, l’inconciliabilità  manifestata da controparte, la legittimatio ad causam, la sussistenza o meno di un contraddittorio integro, la rilevanza della prova, l’onere della stessa, la causalità materiale e giuridica, il tipo di responsabilità invocata oltre che alla varietà di poste di danno ipotizzabili e, anche, si è detto sull’eventuale prescrizione).

Una volta che il ricorso contenga gli elementi utili ad individuare la successiva domanda di risarcimento, l’esposizione dei fatti, il contenuto delle domande e delle eccezioni che saranno fatte valere nel giudizio di merito e che la consulenza è finalizzata a provare, il Giudice avrà la possibilità di valutare se la consulenza chiesta sia ammissibile, utile e rilevante al fine di accertare e determinare i diritti vantati dai ricorrenti.

Il caso entro cui ci siamo trovati a contestare l’eccezione di inammissibilità è ben differente rispetto a quello di cui si è occupato il Tribunale di Trieste in quanto non solo considera “la narrativa del ricorso introduttivo … generica e sibillina, con specifico riferimento al titolo giuridico dell’azione di responsabilità svolta” ma evidenzia come la relazione del medico legale … dimessa dagli stessi ricorrenti” non avrebbe costituito oggetto di rilievi o contestazioni di sorta da parte degli stessi istanti.

Ora, fermo che un Giudice, nel giudizio di merito, effettivamente, secondo risalente indirizzo possa trarre argomenti ed elementi di prova anche dalle risultanze di un pregresso procedimento penale e pur avuto riguardo alla circostanza che in quel dato procedimento penale il consulente del P.M. possa aver escluso la responsabilità penale del personale sanitario coinvolto ed altresì il nesso causale, ciò non può portare legittimamente a tacciare come “inutile” l’A.T.P. con finalità conciliativa prevista dalla legge Gelli-Bianco in materia di responsabilità civile, se non con violazione sia delle norme di cui alla L. n° 24/2017, sia di quelle in tema di nesso causale ed onere della prova vigenti in materia di responsabilità civile contrattuale sanitaria. Tale impostazione si presta, invero, a critiche che vanno oltre al fatto che il Giudice di Trieste, a fermo parere di chi scrive, è andato oltre i limiti, esprimendo un giudizio prognostico sul merito dell’eventuale successiva causa senza soffermarsi sulla possibilità che per aspetti civilistici la stessa questione non meritasse invece un approfondimento consulenziale anche al fine di favorire la conciliazione propugnata dal Legislatore.

Critiche insopprimibili affiorano sol che si pensi all’accertamento del nesso causale ed alle diverse regole sulla prova siccome applicabili in un processo penale (ovvero quella al di là di ogni ragionevole dubbio) ed in un processo civile (del più probabile che non che, notoriamente, non va ricondotto al 50% più 1). Ed anche su ciò milita una consolidata Giurisprudenza e la migliore Dottrina.

E’, quindi, evidente che l’eventuale introduzione in un giudizio civile di una consulenza o perizia che avesse condotto all’archiviazione dei soggetti indagati sulla base di criteri di accertamento della prova penalistici può ben considerarsi totalmente irrilevante al fine di un diverso accertamento su basi civilistiche. Anzi sul punto abbiamo fatto presente che solitamente, per la nostra esperienza diretta, è esattamente così.

Senza considerare la questione dell’integrità del contraddittorio posto che, come nel caso che qui ci occupa, l’archiviazione e/o il precedente iter consulenziale non hanno visto la formale partecipazione alla stesura della consulenza di un perito delle parti offese. 

Se è vero che la prova acquisita in altro procedimento tra le stesse parti potrebbe essere introdotta e utilizzata è, in ogni caso, necessario che il Magistrato presti attenzione al fatto che, ad esempio, la consulenza in sede civile attraversi le varie fasi di pieno contraddittorio tra cui quello dello scambio delle osservazioni alla bozza di C.T.U. proposte dai periti di parte e delle successive risposte e repliche alle osservazioni di questi da parte del consulente dell’Ufficio. Questo offre una particolare garanzia di pienezza del contraddittorio. Ciò vale tanto più nell’A.T.P. ex art. 696 bis c.p.c. che ha una finalità ed uno scopo prettamente conciliativo  introdotto con il D.I. n. 35 del 2005 proprio come nuova tipologia di accertamento tecnico (preventivo alla causa di merito) finalizzato alla composizione della lite.   

Il tutto senza dimenticare il principio della responsabilità penale che è personale e che, certamente, si basa su considerazioni assolutamente diverse rispetto all’invocata responsabilità civilistica della Struttura Sanitaria.

Sempre per quel che concerne il quesito, ad esempio, il C.T.U. civile potrebbe essere chiamato a rispondere ad aspetti non proponibili in sede penale, come quello sulla perdita di chances, di cenestesi lavorativo, di guarigione o di sopravvivenza e relativa durata.

Ancora sono palesi ed evidenti le diversità della formazione della prova in sede civile ed in sede penale oltre che alla diversità dei quesiti cui deve rispondere un C.T. del P.M. a differenza del Consulente di una A.T.P. ribadiamo conciliativa!

Per queste ragioni una C.T. penale dimessa nel contesto di un procedimento 696 bis c.p.c. non è da ritenersi idonea a poter fare considerare il ricorso inammissibile ed a valutare la Consulenza Tecnica a fini conciliativi inutiliter data avuto riguardo al contenuto, alla natura e alla funzione della consulenza medico-legale richiesta dei ricorrenti.

Ne caso che specificamente ci occupava anche il Sig. Giudice ha condiviso il nostro punto di vista e la nostra analisi statuendo che l’ATP ex art. 696 bis c.p.c. fosse ammissibile. 

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