IL CONSENSO INFORMATO ALL'ATTO MEDICO
Avv. Stefania Trivellato • 3 dicembre 2019
...Dove siamo giunti allo stato attuale.

Rodrigo de Castro, medico del 1600, nel suo trattato
Medicus Politicus arriva ad
affermare che “come il sovrano governa lo Stato e Dio governa il mondo, il
medico governa il corpo umano”. Il medico cioè si trova in una posizione del tutto dominante con un potere assoluto sul paziente, determina in modo
autoreferenziale che cosa è autorizzato a fare sul paziente, facendo la diagnosi e
prescrivendo la terapia senza bisogno di informare il malato. Insomma
guardando al passato ci si rifà ad un modello di medicina ove non vi era la
necessità di ottenere un consenso se non quello già implicito nell’affidamento
fiduciale. In questo quadro al medico nessun dovere gli richiedeva di dare conto
di nulla e semmai gli obblighi di una qualche (seppur minima) informazione e di
coinvolgimento nelle scelte sussistevano nei confronti dei familiari del paziente
che erano i veri interlocutori del medico e sottoscrivevano con lui una sorta di
alleanza terapeutica a beneficio del loro caro. Per molti secoli la medicina si è
interrogata se le decisioni prese in scienza e coscienza da parte dei medici
fossero giustificate dalle conoscenze scientifiche man mano che progredivano e
orientate al migliore interesse del malato. Di certo la volontà del paziente e le sue
preferenze non erano tenute in considerazione ed erano irrilevanti. Al medico
veniva riconosciuto il peso della competenza professionale. Tutto cambia quando
il soggetto paziente comincia a rivendicare il potere di autodeterminazione sulle
decisioni che riguardano il proprio corpo. Ci si comincia ad informare e le
informazioni sono sempre più facilmente rinvenibili (a dispetto dell’immutata
possibilità di loro interpretazione che dipende da una molteplicità di fattori).
Potremmo dire anche che, in questa ultima e più recente fase della nostra società,
viviamo un momento di overdose di informazioni perché sono facilmente
accessibili, sono troppe e riguardanti indistintamente tutte le arti, i mestieri e le
professioni. Se vogliamo tutto ciò ha allontanato l’utenza in genere dai
professionisti, perché crea un'iniziale diffidenza e la voglia di coglierli in fallo e
, semmai, poterli smentire più che creare le condizioni per affidarcisi.
In passato, quindi, per tutte le ragioni intrinseche legate alla percezione della
professione da parte degli esercenti stessi, non vi era in assoluto (né percepito
dal medico quale dovere ma neanche dal paziente quale diritto) un obbligo
informativo.
Oggi la situazione è del tutto cambiata.
In primis
vi è una recentissima legge sul tema, la n. 219 del 2017: Legge sul
consenso informato e sulle DAT. Il senso della Legge è chiaro: promuovere e
valorizzare, secondo la Legge, la relazione di cura e fiducia tra il paziente e il
medico che si basa sul consenso informato. Il testo disciplina le modalità in
cui tale consenso informato può essere espresso: “il consenso informato,
acquisito nei modi e con gli strumenti più consoni alle condizioni del
paziente, è documentato in forma scritta attraverso
videoregistrazioni o, per la persona con disabilità, attraverso dispositivi che
le consentano di comunicare. Il consenso informato, in qualunque forma
espresso, è inserito nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico”.
L’obbligazione del consenso informato è un’obbligazione ex lege. Secondo
quanto statuito, il consenso va dato per iscritto ma ciò, e la Giurisprudenza è
chiara, non è sufficiente e bisogna anche dare la prova di aver realmente
informato e cioè la prova che ciò che è stato detto è stato realmente compreso.
Il consenso è tecnicamente una dichiarazione di scienza di carattere non
negoziale la cui mancanza è, come vedremo, fonte di danno e di risarcimento.
La Giurisprudenza in questo senso ha compiuto un'intensa evoluzione.
Come prima cosa va evidenziato che il concetto di informazione concerne
anche altre attività professionali e, sul punto, richiamo la nota ordinanza della
Terza Sezione della Suprema Corte n. 19520 del 2019 sulle spiegazioni che
deve fornire un avvocato al cliente. E' stabilito che il legale, nell'adempiere il
mandato professionale conferitogli dal cliente, ha anche il dovere di
sollecitarlo, dissuaderlo e informarlo, in particolare rappresentandogli tutte
le questioni di fatto e diritto che rischiano di impedire il raggiungimento del
risultato o che possono produrre il rischio di effetti dannosi.
Vi è però da dire che lo sviluppo maggiore riguarda senz’altro il consenso
informato nell’ambito sanitario.
Importante ad inizio anno l'ordinanza della quarta sezione della Cassazione
n. 644 del 2019: l'assenza di consenso informato determina responsabilità
medica anche in mancanza di previsioni specifiche ed anche se l'operazione è
stata eseguita correttamente.
Del giugno di quest’anno è l’altra importante pronuncia della Corte di
Cassazione - sez. III civ. che con la sentenza n. 16892/2019 ha nuovamente
argomentato sul danno da mancata acquisizione del consenso informato. La
Suprema Corte, in questo caso, ha stabilito che l’acquisizione da parte del
medico del consenso informato costituisce prestazione altra e diversa da
quella dell’intervento medico e, di conseguenza, la mancanza di consenso
informato del paziente è una fonte di responsabilità ulteriore e autonoma
rispetto a quella derivante dall’errata esecuzione della prestazione medica.
Da ultimo richiamiamo la sentenza n. 28985 dell’11 novembre 2019 della
Suprema Corte (facente parte del gruppo delle sentenze dette di “san Martino-
bis”) ove la stessa ha evidenziato che la mancata informazione può ledere
diversi interessi sostanziali quali il diritto alla salute e il diritto all’auto
determinazione. E’ evidente quindi che queste lesioni determinano diversi
tipi di danni. Vanno date le prove specifiche su entrambe le tipologie di danno
che potranno dimostrarsi lesionate. Quando si parla di consenso informato va
tenuto conto che non è solamente la mancanza di informazione ciò che va
esaminato ma, anche, va valutato se il paziente avrebbe optato per scelte
diverse. Pensiamo per esempio alla legittima scelta di operarsi in un altro
momento. E’ il paziente che deve allegare quali danni ha subito oltre,
ovviamente, al danno biologico legato all'inesatta prestazione. I danni sono danni alla salute, quando sia ragionevole ritenere che il paziente, se
correttamente informato, avrebbe rifiutato di sottoporsi all’intervento (il
relativo onere probatorio incombe sul paziente); secondariamente la
violazione può determinare danni del diritto all’autodeterminazione
richiedibile se, a causa del deficit informativo, il paziente avesse subito un
pregiudizio patrimoniale o non patrimoniale diverso dalla lesione al diritto
alla salute. Le situazioni riguardano anche i casi di insufficiente informazione,
pur se il paziente avrebbe comunque deciso di sottoporsi all’intervento ma, ovviamente, in questo caso potrà essere richiesto un danno alla salute ma non
anche all’autodeterminazione. La prova della mancanza di consenso grava
sempre sul danneggiato. E cosa succede se un paziente può dimostrare una
vera ed assoluta carenza di consenso senza alcun danno alla salute?
Tecnicamente niente. L’omessa informazione la si può far valere solo in caso
di peggioramento alla salute. Il presupposto è sempre che si tratti di un
pregiudizio di apprezzabile gravità ( il danno cioè deve superare la soglia della
gravità e serietà).
Come deve essere l’informazione che deve essere data al paziente? In
principalità certamente articolata e allargata, cioè prevedere anche il caso di
possibilità di altri interventi che si rendessero necessari al momento
dell’intervento programmato per scoperte sul paziente che vengano fatte
direttamente quando già questo si trovi sul lettino operatorio.
Tuttavia l’informazione deve essere "tante altre cose" e cioè: semplice, attuale,
corretta, specificata, preventiva, aggiornata, consapevole, revocabile, libera,
veritiera, razionale, completa e personalizzata. Ed allo stato sempre e
comunque scritta.
Evidente come sia difficile che si riesca a dimostrare tutto ciò sia nei modi in
cui la stessa è stata data e sia nella comprensione totale e reale in cui è stata
conseguita, recepita e assimilata.
Vi è allo stato un modo per uscire da questo vicolo cieco in cui si trova il
sanitario (e cioè la struttura?) e poter addivenire ad un piena prova della
completezza e della ricezione sicura dell’informazione data? Ritengo sarebbe
possibile con l’acquisizione di una videoregistrazione. Si può obiettare che
scardini un po’ di fiducia tra medico e paziente in uno dei passaggi “storici”
più delicati e importanti del rapporto ma, in realtà, spiegandogli che è anche
nel suo stesso interesse trovo che sarà un passaggio tanto prezioso quanto
inevitabile. E poiché si va nella direzione delle cartelle cliniche elettroniche, la
cosa potrà essere realizzata con estrema facilità. Tempo al tempo….