IL DANNO DIFFERENZIALE

Avv. Stefania Trivellato • feb 20, 2020

Cass. Civ., Sez. III, 11.11.2019 n° 28986: un commento

La nota sentenza n° 28986 /2019 della Suprema Corte (una del gruppo delle sentenze così dette di "San Martino bis") tratta un tema importante in maniera esaustiva (soprattutto volendo avere un taglio pragmatico e dare prevalenza alla metodologia di calcolo del danno differenziale che ne risulta) bensì complessa in molte sue parti ma, nella sostanza di ciò che enuncia, molto chiara. Questa sentenza tratta del danno disfunzionale che si inserisce in una condizione o stato in parte già compromesso da una patologia pregressa, rispetto alla quale si determina un incremento differenziale del pregiudizio. 
Apriamo una parentesi sul punto e teniamo a sottolineare (spesso argomento equivocato) che quando diversamente si parla di danno differenziale iatrogeno, l’aggettivo iatrogeno significa “causato dal medico”, ed etimologicamente, infatti, il significato letterale è nella derivazione dal greco “iatrós” (medico) e “génos” (che è generato). Ergo le iatrogenesi indicano patologie, effetti collaterali o complicanze dovute a trattamenti medici in generale, risultati errati, i quali producono come effetto l’aggravarsi delle condizioni di salute del paziente.
La sentenza della S.C. che tratta il più generale concetto di danno da aggravamento di esiti precisa le modalità di risarcimento del danno “differenziale” appunto, che è anche e spesso un aspetto essenziale nella responsabilità medica. Infatti non di rado le conseguenze dell’errore clinico vanno ad incidere su una realtà del paziente già in parte compromessa dalla patologia curata in ospedale. Tuttavia specificamente questa sentenza tratta il principio più in generale, (con riguardo ai danni ad un arto inferiore già precedentemente leso a causa di incidente stradale, non quindi di danno da colpa e responsabilità medica). 
Tornando alla sentenza in questione, a parte l’excursus sulla causalità materiale e causalità giuridica, la Corte di Cassazione rileva che la preesistenza di malattie o menomazioni può incidere sia sul nesso di causalità materiale, se rappresentano una concausa della lesione, sia sul nesso di causalità giuridica, se rappresentano una concausa di esito della menomazione. La sentenza nella sua prima parte (più complessa, dogmatica e poi riepilogativa) ripercorre alcune definizioni e tratta argomenti (invero a volte già consolidati), fornendo una sorta di vademecum per il miglior orientamento all’interno delle nozioni più importanti sul tema.
Tra questi concetti a carattere definitorio troviamo: 
- le lesioni “monocrome”, ovvero più lesioni nello stesso tempo, ma in parti diverse del corpo; 
- le “policrone” che insistono sullo stesso arto o organo, ma in momenti diversi; 
- le lesioni “concorrenti”, quelle cioè che si aggravano a vicenda una a mezzo dell’altra; 
- le lesioni “coesistenti”, ovvero quelle invece indipendenti (ponendo attenzione al fatto che, in ogni caso il danno globale non può/deve superare il 100%). Ovviamente come la validità di un uomo è “100” e non può superare questo valore, così la invalidità! A volte con danni che si sommano è ben possibile non accorgersi di superare la quota di 100. Relativamente alle menomazioni preesistenti vi sono casi e casi; un esempio fra tutti è quello del soggetto monocolo che perda il visus egli subirà il più grave danno alla capacità funzionale visiva dell’unico occhio. Nel valutare una lesione di questo tipo, che comporta la cecità, si dovrà tener conto del fatto che il soggetto ha sì oggettivamente perso un occhio ma, in realtà, soggettivamente ha perso la vista. 
Se i postumi permanenti causati dall’illecito non sono aggravati dalle menomazioni preesistenti, saranno da considerarsi conseguenza esclusiva del solo fatto illecito, naturalmente.
La sentenza enuncia poi alcuni principi di diritto:
- lo stato anteriore, di salute ovvero malattia, della vittima può concausare la lesione oppure la menomazione; 
- l’eventuale concausa di lesioni precedenti è giuridicamente irrilevante;
- la menomazione preesistente può essere concorrente o coesistente col maggior danno causato dell’illecito;
- saranno “coesistenti” le menomazioni i cui effetti invalidanti non mutano per il fatto che si presentino sole od associate ad altre menomazioni, anche se afferenti ai medesimi organi; saranno invece “concorrenti” le menomazioni i cui effetti invalidanti sono meno gravi se isolate, e più gravi se associate ad altre menomazioni, anche se afferenti ad organi diversi;
- le menomazioni coesistenti sono di norma irrilevanti ai fini della liquidazione; né può valere in ambito di responsabilità civile la regola sorta nell’ambito dell’infortunistica sul lavoro, che abbassa il risarcimento sempre e comunque per i portatori di patologie pregresse;
- le menomazioni concorrenti vanno di norma tenute in considerazione ed ecco il metodo di calcolo: 
a) si stima in punti percentuali l’invalidità complessiva dell’individuo (risultante, cioè, dalla menomazione preesistente più quella causata dall’illecito) e la si converte in denaro;
b) si stima in punti percentuali l’invalidità teoricamente preesistente all’illecito e la si converte in denaro (lo stato di validità anteriore al sinistro dovrà essere però considerato pari al 100% in tutti quei casi in cui le patologie pregresse di cui il danneggiato era portatore non gli impedivano di condurre una vita normale);
c) si sottrae l’importo sub b) dall’importo sub a)
A questo punto è evidente quale fosse la necessità perseguita dalla S.C.: quella di cercare la soluzione migliore (e la più equa) sul calcolo di un danno che si sommasse ad un danno già presente. 
Utilizziamo una situazione esemplificativa. Alla luce della sentenza ecco come la Corte di Cassazione insegna a trattare un danno siffatto: se "Caio" di 30 anni avente già un arto superiore con un danno pregresso del 30% di biologico permanente subisce un danno successivo arrecato da "Tizio" sempre sullo stesso braccio e di per sé valutabile in un 10%, secondo il principio enunciato, a "Caio" il danno verrà liquidato sottraendo al valore generale di invalidità la differenza con il secondo. Quindi al totale dell’invalidità, cioè il 40% (utilizzando le Tabelle di Milano del 2018 senza personalizzazione) e che equivale a € 270.000,00, si sottrae l’invalidità preesistente del 30 % (sempre tabelle di Milano e senza personalizzazione) che equivale a €159.000,00. Residua, come danno finale un importo di € 111.000,00. 
E’ evidente che l’aspirazione è quella di risarcire non solo la lesione intesa tout court, ma anche il danno come menomazione finale, che residua.
Teniamo conto a riguardo che il valore di 10 punti percentuali (cioè se il danneggiante dovesse risarcire il danno senza che questo si aggiungesse ad un pregresso creando una invalidità complessiva che necessita poi, appunto, di una differenza) ammonterebbe a circa € 24.000,00. Il danneggiante/debitore si trova quindi per il principio enunciato dalla sentenza n° 28986 del 2019 della Cassazione a dover risarcire oltre il quadruplo! La sentenza sul punto evidenzia, tuttavia, il potere–dovere del Giudice di ricorrere all’equità correttiva ove l’applicazione del calcolo che si è appena indicato porti come effetto della progressività delle tabelle, appunto, a risultati manifestamente iniqui per eccesso o per difetto. 
Sarebbe auspicabile che ciò avvenisse sempre. 
Ed è altresì sperabile invero si trovi un altro modo per attribuire il valore al punto differenziale in situazioni che vedono l’esistenza di danno grave pregresso di cui si debba tener conto. Alcuni medici legali hanno formulato ipotesi sull’opportunità che il valore del danno non divenga la differenza tra i due valori di biologico (generale e differenziale). L’alternativa potrebbe essere quella di prendere il valore del punto dalla percentuale di incremento dal danno precedente al sinistro e sino al limite del sinistro stesso. 
Per tornare all’esempio di prima, al valore di una invalidità di 10 punti percentuali con una preesistenza di 30 (dal 31 % al 40%) lo si potrebbe ottenere sommando i valori del punto al 31% per un trentenne + il valore del punto al 32% + il valore del punto al 33% e così via). Questa soluzione, rispetto sempre al caso ipotizzato prima, darebbe un totale risarcibile di € 71.859,73 che è forse più equo rispetto a € 110.000,00 che risultano utilizzando la metodologia della Suprema Corte e allo stesso tempo ben superiore senza essere il quadruplo del valore del 10% senza iatrogeno differenziale. 
Questa tipologia di danni interessa sempre più la nostra società anche per il notorio allungamento della vita tale per cui le sollecitazioni (danni pregressi e menomazioni di vario genere anche dovute all’invecchiamento) sono sempre più numerose e l’integrità quindi spesso potrà essere stata già precedentemente menomata. 
In conclusione bisognerebbe riuscire ad accordare un equo risarcimento che, quindi, dovendo tenere conto che il danno in esame rappresenta un pregiudizio alla salute collegato all’aggravamento di una lesione o di una patologia preesistente; per questa ragione, si deve tenere conto nella liquidazione del fatto che il danno lascia un soggetto con una complessiva menomazione più grave rispetto alla sola singola lesione in se creata dal fatto lesivo. Bisogna creare un risarcimento che non crei troppi squilibri. Non è certamente improbabile che l’insegnamento della S.C. dia luogo ad un altro nuovo orientamento, in consonanza con il noto adagio secondo cui la Giurisprudenza….oscilla.



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