La responsabilità genitoriale per fatti illeciti commessi da figli conviventi

Avv. Stefania Trivellato -Dott. Andrea Semenzato • apr 08, 2020

Responsabilità dei genitori derivante dalle condotte illecite dei figli.


La responsabilità dei genitori derivanti da condotte illecite poste in essere dai figli trova la sua origine normativa – con tutte le sue diversità ed i suoi limiti – nel diritto romano arcaico, più precisamente nelle actiones noxales. 
La disciplina in esame, nel diritto attuale, è oggi disciplinata dall’art. 2048 c.c. “Responsabilità dei genitori, dei tutori, dei precettori e dei maestri d’arte”.
La norma, anche a seguito di un consolidato orientamento giurisprudenziale, è configurata come una ipotesi di responsabilità diretta dei genitori per il fatto illecito commesso dai figli minori.
Secondo la giurisprudenza maggioritaria, infatti, la responsabilità è diretta poiché questa trova applicazione solo qualora il genitore abbia violato – anche solo presuntivamente - uno dei doveri di cui all’art. 147 c.c. e, a seguito di siffatta violazione, la condotta del minore ha conseguito l’evento giuridicamente rilevante (Cass. n. 20322 del 20.10.2005; Cass. n. 9815 del 09.10.1997; Cass. n. 4481 del 28.03.2001). 
L’operatività del 2048 c.c. presuppone l’integrazione dei presupposti di cui all’art. 2043 c.c..
È necessario, quindi, che il fatto illecito del minore sia connotato dal dolo o dalla colpa e che l’evento dannoso sia eziologicamente connesso alla condotta contra legem. 
Esistono, tuttavia, ipotesi in cui l’elemento soggettivo non è richiesto ai fini della determinazione della responsabilità ex 2048 c.c.. Ad esempio sono sorti dubbi applicativi dell’art. 2048 rapportato con l’art. 2054 c.c. nell’ipotesi in cui il minore commetta il fatto illecito a seguito di una conduzione di un veicolo che legalmente non potrebbe condurre.
La giurisprudenza ha dissipato tale questione statuendo che i genitori, in tali casi, risponderanno comunque ex art. 2048 c.c., anche qualora la loro responsabilità non sia stata accertata in concreto (Cass. n. 6686 del 09.07.1998).  
L’art. 2048 c.c. recita, al primo comma, parte prima, che “Il padre e la madre, o il tutore sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei figli minori non emancipati o delle persone soggette alla tutela, che abitano con essi”. 
Si ritiene pacificamente che la norma in parola abbia carattere tassativo e, di conseguenza, non ammetta analogie. Per estendere i soggetti responsabili, dunque, la L. 184/1983, all’art. 27, attribuisce la medesima responsabilità di cui all’art. 2048 c.c. anche ai genitori adottivi, nonché a quelli naturali e riconosciuti. 
Il problema circa l’applicazione della responsabilità sorge allora, per esclusione, relativamente all’ipotesi del genitore naturale che non abbia riconosciuto il minore. 
In assenza di un orientamento giurisprudenziale unanime e di una norma ad hoc, la dottrina maggioritaria ha ritenuto, facendo leva sull’art. 250 c.c., che tali soggetti siano esenti da responsabilità. 
Resta invece ancora incerta la responsabilità del genitore separato o divorziato non affidatario. 
Sull’argomento dottrina e giurisprudenza si sono scisse in un trittico di orientamenti:
1) Una prima ipotesi tende a riconoscere piena responsabilità ex art. 2048 c.c. La ratio di questa ricostruzione si incardina sul dettato di cui all’art. 317 c.c. Al genitore, anche non affidatario, restano una serie di doveri di vigilanza e controllo che comportano in re ipsa una responsabilità (orientamento ben risalente. Vedi Cass. 3491 del 11.07.1978). 
2) Una seconda ipotesi, diametralmente opposta a quella indicato al punto 1, esclude totalmente la responsabilità del genitore non affidatario mancando la coabitazione con il figlio minore. (Questo orientamento è stato regolato e confermato anche molto recentemente dalla Suprema Corte. Vedi Cass. n. 11198 del 24.04.2019). 
3) Una tesi che bilancia i rilievi di entrambi suggerisce di riconoscere al genitore non affidatario la responsabilità limitatamente al periodo in cui effettivamente può esercitare nei suoi confronti i poteri e doveri di cui all’art. 317 c.c. (Indirizzo temporalmente a metà tra le due ipotesi precedenti. Vedi Cass. n. 7050 del 14.03.2008).
Ciò detto, è opportuno precisare altresì che l’art. 2048 c.c. viene temperato dall’art. 2047 c.c., che opererà in luogo del 2048 c.c. tutte le volte in cui il minore non emancipato che abbia commesso un illecito sia un soggetto incapace. La giurisprudenza ha infatti pacificamente chiarito l’alternatività delle due norme, con la conseguente non cumulabilità delle stesse (v. Cass. n. 5122 del 04.10.1979; App. Bologna 09.02.2015; Trib. Cassino 18.09.2018).
L’alternatività di cui sopra non si estende anche all’ipotesi in cui il fatto commesso dal minore (capace) avvenga in un momento in cui lo stesso sia stato affidato ad una persona terza rispetto ai genitori, ma comunque qualificata alla sua vigilanza. 
In tali ipotesi, la giurisprudenza “assolve” il genitore solo dalla presunzione di culpa in vigilando, preservando invece nei suoi confronti la responsabilità derivante da culpa in educando (Trib. Monza 12.06.2006 e Cass. n. 12501 del 21.09.2000). 
Il genitore sarà quindi tenuto a dimostrare di aver adempiuto ai propri oneri educativi nei confronti del minore relativamente al suo sviluppo psico-emotivo nonché al controllo dei propri impulsi (Cass. 18804 del 28.08.2009). 
Il genitore allora, per liberarsi da questa presunzione di responsabilità, dovrà provare o l’incapacità del figlio minore o l’impossibilità di aver impedito il fatto illecito nonostante lo sia stato educato in maniera consona alle proprie condizioni sociali e famigliari (Cass. n. 4481 del 28.03.2001 e da ultimo la recentissima sentenza n. 22541 del 10.09.2019 della Suprema Corte)
Alla luce di quanto finora esposto, si evidenziano due tipo di responsabilità: quella del minore, ex 2043 c.c. e quella del genitore ex 2048 c.c. nei limiti e nelle forme ut supra. 
Dal punto di vista risarcitorio, le due responsabilità configurano tra loro un’ipotesi di responsabilità solidale ex art. 2055 c.c.
Sotto un profilo processuale, ciò implica un litisconsorzio facoltativo, incardinato su un unico fatto (la condotta illecita del minore), ma composto da due differenti titoli del rapporto giuridico e della causa petendi.
Detto in altri termini, si instaura una riunione di cause connotate di totale autonomia l’una dall’altra in sede di impugnazione (Cass. n. 1512 del 28.02.1983). 
Nonostante il genitore sia de jure co-responsabile e solidalmente tenuto assieme al proprio figlio minore (e capace) a risarcire il danno, avrà comunque diritto di regresso nei confronti di quest’ultimo. 
Infine, qualora l’illecito commesso dal minore capace consista in una violazione amministrativa, opera la L. 689/1981 che, all’art. 2, in perfetta aderenza con quanto si è già detto circa l’illecito di natura civilistica, attribuisce la responsabilità del fatto da lui commesso al soggetto tenuto al controllo e alla vigilanza, salvo dimostrazione dell’impossibilità a impedirne il fatto medesimo. 


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